ARTISTA DEL GIORNO | 18.11.2022
<< Ogni ritratto fotografico mostra, contemporaneamente, il soggetto fotografato e il modo in cui il fotografo lo vede. L’attore e l’autore. Il veduto e il vedente. Si sovrappongono due identità.
Ho lasciato che la persona davanti a me mi fotografasse, per poi, tramite un comune proiettore, proiettare sul suo volto la foto appena scattata. Ho fotografato questa fusione ottica di volti.
L’immagine che si forma ha tratti indefiniti, una creatura ibrida, di difficile comprensione. Come del resto è impossibile cogliere l’identità oggettiva delle persone altre da noi. Ammesso che questa identità esista >>
Alessandro de Leo
.
TRITTICO
Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica.