ARTISTA DEL GIORNO | 06.01.2023
<< Ti ho sempre cercato dietro gli alberi del bosco,
la lepre;
il pungitopo sopra al vischio bianco.
Quando ti trovo ti do un bacio.
Mi dai un bacio.
Ma il bosco da qui è lontano e io non ti ho cercato mai.
-Ilaria Feoli
L’opera “Ed è subito sera.” È un omaggio al gioco del nascondino e alla poetica di Salvatore Quasimodo. L’artista, attraverso la fotografia e l’atto dell’autoritratto, gioca letteralmente a nascondino, dove insieme alla natura si nasconde e allo stesso tempo cerca incessantemente “l’altro” che non accenna a farsi scorgere. In alcuni paesi dell’Europa si racconta che il seguente gioco abbia origine antiche da un rituale in occasione degli equinozi di primavera, durante i quali adulti e bambini si recavano nei campi e nei boschi per cercare i primi segni di quest’ultima. Ilaria Feoli, dunque, in “Ed è subito sera.” crea una vera e propria metafora tra il gioco del nascondino e la sua ricerca artistica basata proprio sul cercare affannosamente una “primavera”, una sorta di “rianimazione” che sfugge. La composizione dell’opera presenta due fotografie in bianco e nero, in cui appare la presenza dell’artista quasi in veste da spettro o di dama viandante d’altri tempi e da una terza fotografia a colori: un cielo che preannuncia la sera, la Luna incombe, tramonta ogni cosa e da qui il rimando a Salvatore Quasimodo coi versi della poesia “Ed è subito sera” dove in essa il poeta racchiude tutto il senso della precarietà della vita, la stessa precarietà che abita nel trittico “Ed è subito sera.” di Ilaria Feoli, dove l’artista rimane in un tempo sospeso, nascosta, in un eterno abbandono, mentre l’altro giocatore ancora tarda ad arrivare. >>
Ilaria Feoli
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TRITTICO
Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica.