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Serena Rossi

ARTISTA DEL GIORNO | 13.03.2023

<< Sono tre scatti della stessa mattina Attimi di vita vissuta, attimi che si susseguono Due all’Ospedale San Paolo di Milano Uno alla posta di Via Lomazzo di Milano zona cinese. Compiendo i gesti dovuti come accompagnare i suoceri in ospedale e spedire raccomandate in posta, i gesti scomodi, pesanti, meno belli, quelli di vita vera, e sempre in transito. Mi fanno pensare al viaggio delle nuvole a pecorelle sopra l’ospedale e al Baracchino coi beni di prima necessità. Mi soffermo. Noi Artisti siamo nomadi, viviamo ovunque dovunque la nostra arte, la vita è arte e spunto per essa. >>

Serena Rossi

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TRITTICO

Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica. 

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